Il 5 e 6 luglio ho partecipato all’evento annuale internazionale di INTBAU (International Network for Traditional Buildings, Architecture & Urbanism) a Milano e qui vi racconto com’è andata. Alla fine della versione in italiano dell’articolo, trovate quella in inglese.
A fine pagina trovate inoltre il link a un video realizzato da me con foto e spezzoni di video delle due giornate. Se volete saperne di più continuate la lettura!
Last 5th and 6th of July I took part to the annual international event of INTBAU (International Network for Traditional Buildings, Architecture and Urbanism) in Milan and so I talk about it. At the end of the Italian version of the article, you’ll find the English one.
At the end of the page you’ll also find a link to a video that I realized by myself, with photos and videos of the two days. Enjoy reading!
Italian version
INTBAU (International Network for Traditional Buildings, Architecture and Urbanism) è una rete internazionale attiva che si pone l’obiettivo di promuovere la progettazione di spazi urbani ed edifici organici ed armoniosi, nel rispetto delle tradizioni costruttive e morfologiche locali, considerate come peculiarità da conservare e tutelare, come valori da trasmettere alle future generazioni.
INTBAU, con sede centrale a Londra, opera sotto il patrocinio del suo fondatore, Sua Altezza Reale il Principe Carlo di Galles. Esistono 27 sedi distaccate di INTBAU in molti Paesi del mondo, ed ogni anno, dal 2013, uno dei Paesi ospita a turno l’Annual International Event, che rappresenta a tutti gli effetti un momento di scambio e di diffusione delle ricerche e delle best practice applicate in tutto il mondo in materia di tutela del patrimonio architettonico e del paesaggio e di sviluppo di spazi urbani sostenibili e vivibili.
Quest’anno è stato INTBAU Italia ad organizzare l’annual meeting al Politecnico di Milano. Il professor Giuseppe Amoruso, INTBAU Italy Chair, ha organizzato un programma in due giornate di conferenze e relazioni (5-6 luglio) e un tour di studio intitolato “The Stones of Vicenza” sulle orme di Andrea Palladio e dell’architettura classica.
Il tema dell’evento annuale era “Putting tradition into practice: heritage, place, design” ovvero “Mettere in pratica la tradizione: il patrimonio, i luoghi, il progetto.”
I contributi inviati dovevano rispondere essenzialmente ad alcuni interrogativi, che rappresentano le sfide a cui è chiamato l’architetto ai giorni nostri, ovvero “Come può l’intelligenza globale sostenere lo sviluppo locale?” oppure “come possiamo ricostruire dopo un evento disastroso?”, o “Come possiamo sviluppare la nostra conoscenza del patrimonio e dei luoghi?” oppure ancora “Come può l’identità dei luoghi fornire informazioni per un progetto che possa costruire comunità?” o anche “Come possiamo costruire case migliori?” ed infine – un interrogativo che riassume tutti gli altri – “Come possiamo lavorare insieme a soluzioni per le sfide globali”?
Gli articoli selezionati (incluso il mio, scritto a quattro mani con l’arch. Michele Ragone) sono stati raccolti in una pubblicazione edita da Springer International Publishing e le due date di convegno sono state organizzate lasciando spazio ai relatori che hanno prodotto le ricerche più interessanti e varie.
Da outsider del mondo dell’università ho apprezzato la grande capacità comunicativa dei relatori, che hanno raccolto in presentazioni accattivanti e per la maggior parte brillanti, il frutto del proprio lavoro.
Il macro-tema del convegno è stato essenzialmente declinato in alcuni filoni tematici principali.
Il rilievo e la rappresentazione grafica
Il rilievo e la rappresentazione grafica hanno costituito un tema fondamentale: l’importanza di conoscere i manufatti e i luoghi per intervenire in maniera efficace è stata ritenuta il punto di partenza per un approccio corretto al progetto.
Ha avuto il giusto spazio l’illustrazione di metodologie avanzate di rilievo come il laser scanner e i rilievi realizzati con nuvole di punti e georeferenziati, oltre a tecniche di rappresentazione innovative, realizzate digitalmente con il 3D scanner, come quelle raccontate da Andrew Saunders della University of Pennsylvania, o più tradizionali come il metodo VERNADOC, che prevede la rappresentazione manuale di rilievi complessi e particolari costruttivi tipici della tradizione, di cui ha riferito Enrica Pieragostini dell’Università degli Studi di Camerino.
È stata riconosciuta l’importanza di creare banche dati di rilievi metrici e materici per il restauro, da cui poter attingere all’occorrenza, ad esempio a seguito del sisma: l’obiettivo dovrebbe essere quello di superare la concezione di rilievo come opera d’ingegno da non divulgare, consentendo la creazione di open data che diventino bene comune; è questo l’auspicio del Soprintendente delle Marche, Carlo Birrozzi, che ha promosso lo studio approfondito del territorio e del paesaggio, anche attraverso metodologie non convenzionali, come la lettura delle opere letterarie ed artistiche degli autori che hanno raccontato i luoghi dove hanno vissuto.
La ricostruzione
Gran parte del convegno è stata dedicata all’argomento della ricostruzione, a seguito di eventi traumatici come la guerra e il sisma, comprensibilmente, a seguito del sisma che ha colpito il centro Italia meno di un anno fa e delle recenti distruzioni belliche che hanno interessato la Siria.
“Come ricostruire”? questa la domanda che ha imperversato. Gabriele Tagliaventi (Università degli Studi di Ferrara, A Vision of Europe) ha ricordato alcuni esempi di città europee che oggi appaiono “tradizionali” quasi interamente ricostruite a seguito di un evento traumatico: Saint-Tropez, Toledo, ricostruita dopo la guerra civile spagnola, Bruxelles o alcune città della Sicilia orientale come Siracusa o Noto (oggi patrimonio dell’UNESCO) interamente ricostruite dopo il sisma del 1693, che costituiscono esempi mirabili di ricostruzione, tanto da non consentire a chi le visita di comprendere che si tratta di città relativamente nuove.
In effetti, in alcuni casi, ricostruire organicamente una città utilizzando tecniche e forme tradizionali, risulta essere l’unico modo per non snaturarla. Ma come mai si demonizza così tanto la ricostruzione “com’era e dov’era”?
Ettore Maria Mazzola, dell’Università di Notre Dame sostiene che il pensiero di Cesare Brandi che asseriva la necessità di operare restauri non analogici che non producessero mimesi dell’opera d’arte all’epoca della sua creazione, ma che fossero riconoscibili e collocabili in un’epoca postuma, poi recepito dalla Carta di Atene del Restauro del 1931, abbia influenzato tutta la cultura del restauro italiana, portando a deprecare la ricostruzione, che invece, se operata sulle basi corrette, può costituire, specie a scala urbana, una operazione di successo.
Anche Tomasz Jelenski (Cracow University of Technology, Intbau Poland) ha parlato del valore simbolico della ricostruzione, soprattutto a seguito di eventi traumatici, come la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale molte città polacche quali Varsavia, Poznan, Cracovia, Zamosc hanno subito forti bombardamenti e sono state quasi del tutto rase al suolo. Varsavia, la capitale, è stata distrutta per l’85% e ricostruita così com’era, grazie anche ai rilievi metrici effettuati dagli studenti della facoltà di architettura.
Tale operazione ha un intento sociologico e psicologico importante: ha inteso aiutare i cittadini a riconnettersi al passato, al Genius Loci, che le distruzioni belliche avevano spazzato via insieme agli edifici. Ciò è stato apprezzato anche dall’UNESCO che ha inserito i centri storici di Varsavia, Cracovia e Zamosc, nella World Heritage List.
Guardando le immagini finali proposte dal relatore mi chiedo se sarà mai possibile che anche per Aleppo possa esserci un futuro di ricostruzione, tale da consentire ai cittadini siriani di riappropriarsi dei luoghi che conoscevano ed amavano, riportando l’umanità lì dove oggi c’è solo l’orrore della guerra. In quest’ottica non solo le emergenze architettoniche o gli spazi pubblici, ma anche il tessuto ordinario deve essere ricostruito come l’etica civica impone: è quanto suggerisce Amerigo Restucci, dello IUAV.
Del resto occorre porre particolare attenzione alla ricostruzione degli edifici minori, spesso di interesse paesaggistico, a seguito di intervenuta dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che, se ricostruiti in maniera asincrona come spesso accade, possono generare un tessuto inorganico ed eterogeneo: lo hanno sottolineato Mario Centofanti e Stefano Brusaporci (Università degli Studi di L’Aquila) parlando della ricostruzione e rigenerazione urbana del centro storico di L’Aquila a seguito del sisma del 2009.
Un occhio di riguardo è stato riservato da Pietro Laureano (ICOMOS Italia) all’architettura spontanea tradizionale, all’autocostruzione e all’approccio partecipato ai progetti di ricostruzione, con l’esempio fortissimo di Matera, che ha saputo valorizzare il proprio paesaggio urbano autocostruito nella pietra, rendendo i Sassi un esempio unico al mondo, che ha valso alla città il titolo di Capitale Europea della Cultura 2019, generando importanti processi di recupero del costruito e di crescita economica.
L’ambizione, a tratti visionaria, ma non per questo meno interessante, è che si possa imparare dalle tecniche tradizionali, come riassunte nella TKWB (Traditional Knowledge World Bank), per l’autocostruzione di edifici autosufficienti dal punto di vista energetico, come accadeva per le oasi del deserto del Sahara, per le città colpite dal sisma.
Le nuove sfide della rigenerazione urbana
Infine, di grande ispirazione, le relazioni sulle nuove sfide poste dalla città contemporanea, dalla città come paesaggio del vivere quotidiano.
Michael Mehaffy (KTH Royal Institute of Technology) ha parlato del ruolo dell’urbanista oggi e dei grandi problemi urbani che affliggono le città, come lo sprawl e la creazione sempre più diffusa degli slums, le baraccopoli, generate dall’utilizzo di un modello di città basato sugli shopping malls e sui superblocks, i macroisolati.
La sfida è cambiare il modus operandi per generare crescita, innanzitutto promuovendo modelli virtuosi per gli spazi pubblici, che possano invitare l’essere umano ad interagire con gli altri.
Questo può ottenersi unicamente tramite un approccio olistico al progetto urbano, che lo consideri da vari punti di vista, tramite un sistema multidisciplinare detto “New science of complexity”; da qui Mehaffy enuncia e spiega gli elementi chiave per la nuova agenda urbana, che avrà l’obiettivo di generare spazi che aiutino le capacità relazionali dell’individuo, che per sua natura crea reti con gli altri individui, che danno vita a processi economici che migliorano la qualità della vita.
È importante studiare l’evoluzione morfologica, imitando i processi generativi naturali e occorrerà prestare attenzione agli elementi naturali, che facilitano lo stare bene nei luoghi pubblici e studiare le interazioni sociologiche e i fenomeni antropologici.
La genetica è d’ispirazione in quanto le forme sono il risultato di secoli di cambiamenti adattivi che hanno portato allo sviluppo stabile di una morfologia, mentre la teoria del gioco ci dice che la realtà è un grande gioco a più giocatori e che occorre studiare le dinamiche ed adottare strategie per capire come vincere la sfida.
Un modo efficace per riportare la vita nelle città, soprattutto quelle distrutte dal sisma, la cui ricostruzione sarà lunga e lenta (per l’Aquila si sono stimati 20 anni per la ricostruzione), è il design, secondo Luca Guerrini del Politecnico di Milano.
L’arte visuale, le esibizioni temporanee, i giochi di luci, la costruzione di piccoli manufatti progettati per generare curiosità nei passanti ospitando eventi come piccoli show di cucina, creando aggregazione sociale, possono essere un mezzo efficace per riconnettere gli abitanti con le città private della propria identità.
Del resto Massimo Schinco, dell’Università degli Studi di Pavia, ci avverte che il gioco è una cosa seria e che quindi giocare con le architetture effimere inserendole in contesti non convenzionali, può contribuire a reinventare una realtà attraverso un processo coinvolgente e condiviso, che aiuti a ripensare i luoghi.
In conclusione, il fil rouge che ha cucito insieme tutti gli interventi è il patrimonio architettonico italiano, che costituisce il metro di paragone per molte architetture di altri Paesi, oltre al vasto contributo teorico dei grandi architetti del passato, Alberti, Palladio, Vignola, Serlio, le cui teorie esposte nei rispettivi trattati, offrono ancora oggi spunto di riflessione e di ricerca.
Questa grande quantità di ricerche straordinarie, di cui questo report è riuscito a dare solo una idea parziale ed incompleta, deve trovare il modo di oltrepassare i confini delle università e dei centri di ricerca, attraverso il costante confronto con gli operatori del settore, compresi i liberi professionisti che si confrontano operativamente con le sfide quotidiane della contemporaneità.
Un evento così internazionale e coinvolgente dovrebbe essere quanto più possibile condiviso, anche attraverso canali innovativi, d’altronde per due giorni, pur arrivando tutti da diversi luoghi sparsi nel mondo e da background culturali diversi, abbiamo parlato tutti la stessa lingua, quella dell’architettura.
English version
INTBAU (International Network for Traditional Buildings, Architecture and Urbanism) is an active international network that has the aim to promote design of organic and harmonic urban spaces and buildings, respecting building and morphological local traditions, considered as specific characters to preserve and protect, as values to hand down to future generations. INTBAU, central based in London, works under the patronage of its founder, His Royal Highness, the Prince of Wales.
27 national Chapters have been formed all around the world and every year, since 2013, one of the country hosts in turn the Annual International Event, which represents a moment to exchange and disclosure researches and best practices about the protection of architectonic and landscape heritage and the development of livable and sustainable urban spaces applied all over the world.
This year INTBAU Italia has organized the annual meeting at Politecnico di Milano. Professor Giuseppe Amoruso, INTBAU Italy Chair, has scheduled a programme in two days of conferences (5-6 July) and a study tour called “The Stones of Vicenza”, on the footsteps of Andrea Palladio and classic architecture.
The topic of the annual event was “Putting tradition into practice: heritage, place, design”.
The papers would have answer to some questions, representing the challenges for contemporary architects, that are “How can global intelligence support local developments?” or “How should we reconstruct after a disaster?” , “How can we develop our knowledge of heritage and place?” or then “How can place identity inform new design that will build community?” or also “How can we build better homes?” and finally – a question that sums up all the other ones – “How can we work together for solutions to global challenges?”.
The selected papers (including mine and Michele Ragone’s one) have been collected into a release edited by Springer International Publishing and the two days of conference have been organized leaving space to the speakers who produced the most interesting and various researches.
I’m an outsider from the university world, so I appreciated the great communication skill of the speakers, that have summarized in endearing and brilliant presentations, their work.
The macro-theme of the conference has been essentially inflected in some main topics.
Survey and Graphic Representation
The survey and the graphic representation have been a fundamental theme: the importance to know the buildings and the places to intervene in an efficient way has been considered as the start for a correct approach to the project.
It took place the explanation of advanced methodologies of survey as the laser scanner and the survey with cloud of points and geo-referenced, in addition to new representation techniques, digitally realized with 3D laser scanner, like those described by Andrew Saunders from University of Pennsylvania, or more traditional as the Vernadoc method, based on the manual representation of complex surveys and constructive details that are typical of the tradition, as Enrica Pieragostini from University of Camerino said.
It has been recognized the importance to create a database of metric surveys, from that we could draw at the occurrence, for example after a seismic event: the aim would have been to overtake the concept of survey as an intelligence work that we can’t spread, allowing the creation of open data becoming common goods; that is the wish of Carlo Birrozzi, Superintendence of Marche, who promoted the deep study of territory and local landscape, also using unconventional methods, as the reading of literary and artistic works by the authors, telling stories about the places they lived.
The conference has been largely dedicated to the topic of reconstruction, after traumatic events as the war or the earthquake, understandably, after the earthquake that stroke the middle of Italy less than a year ago and also after the recent war destructions in Syria.
“How can be reconstruct?” – this was the question. Gabriele Tagliaventi (Università degli Studi di Ferrara, A Vision of Europe) reminded some examples of European cities that nowadays seem to be “traditional”, almost entirely reconstructed after a traumatic event: Saint Tropez, Toledo, rebuilt after the civil Spanish war, Bruxelles or some cities of eastern Sicily as Siracusa or Noto (today it is on World Heritage List by UNESCO), entirely reconstructed after the earthquake of 1693, that are admirable examples of reconstruction, so that the tourist can’t recognize new cities.
Sometimes reconstructing a city in an organic way using traditional shapes and techniques, appears to be the only way for not distort it. But what is the reason for demonize the reconstruction “com’era e dov’era” (“as it was and where it was”)? Ettore Maria Mazzola from University of Notre Dame claims that the thought of Cesare Brandi, who asserts that restoration shouldn’t be a mimesis of the original work of art at the time of its creation, but a recognizable modern work belonging to the time of the restoration.
This concept, resumed by the Carta di Atene of 1931, influenced all the Italian restoration culture, taking to regret the reconstruction, that instead, if on the correct basis, can be, especially on urban scale, a successful operation.
Also Tomasz Jelenski (Cracow University of Technology, Intbau Poland) spoke about the symbolical value of reconstruction, particularly after a traumatic event, as the Second World War, during which many Polish cities as Warsaw, Poznan, Cracow, Zamosc were almost completely razed to the ground by heavy bombing. Warsaw, the capital, was destroyed for 85% and rebuilt as it was, thanks also to metrical surveys made by architecture students.
This operation has an important sociological and psychological aim: reconstruction helped people to reconnect to the past, to the Genius Loci, that the bombs swept away with the buildings.
That was considered as a best practice by UNESCO that included the historic centres of Warsaw, Cracow and Zamosc in the World Heritage List. Looking at the last images of the presentation I asked myself if it may be possible also for Aleppo a future of reconstruction, as to permit to the Syrian people to take back the places they knew and loved, bringing humanity where now there is only the war’s horror.
In this perspective not only the relevant buildings or the public spaces but also the ordinary urban fabric should be rebuilt as the civic ethics required: that’s what Amerigo Restucci from IUAV suggests.
After all it’s necessary to pay attention to the reconstruction of minor buildings, especially if they are of landscape-based interest, for example because of a remarkable public interest’s declaration in accordance to the Italian Heritage and Landscape Law.
If they were rebuilt in an asynchronous way, as is often the case, they can give birth to an inorganic and heterogeneous fabric: Mario Centofanti e Stefano Brusaporci (Università degli Studi di L’Aquila) underlined that, talking about the reconstruction and the urban regeneration of the historic centre of L’Aquila, after the 2009’s earthquake.
Pietro Laureano (ICOMOS Italia) focus on spontaneous traditional architecture, on self-construction and to shared approach to the reconstruction projects, with the strong example of Matera, that enhanced its urban landscape carved into the stone, making the “Sassi” the only one in the world, that provided to the city the title of European Capital of Culture 2019, generating important buildings’ recovery processes and economic growth.
The aim, at time visionary but very interesting, is that we could learn from the traditional techniques, as resumed in TKWB (Traditional Knowledge World Bank), for the self-construction of energetic self-sufficient buildings, as was for Sahara’s Oasis, for the cities that were stroke by the earthquake.
Finally the reports about the new challenges from contemporary city, from the city as everyday life landscape has been really inspiring! Michael Mehaffy (KTH Royal Institute of Technology) talked about the today’s role of the city planner and the big problems affecting the cities, as the sprawl, the increasing diffusion of slums, generated from a city model based on superblocks and shopping malls.
The challenge is to change the operating system, promoting righteous models for public spaces, promoting human interaction. This goal can be achieved only through a holistic approach to the urban project, with a multidisciplinary system called “New science of complexity”.
Mehaffy explained the key elements for the new urban agenda, which will have the aim to generate places helping relational skills of the fellow, who creates networks with other people for his human nature and economics processes that make the life quality better.
It’s important to study the morphological evolution, imitating generative natural processes and it will be necessary paying attention to natural elements, that make the being well easier in public spaces and studying the sociological interactions and the anthropologic phenomenon. Genetics is inspirational because the shapes are the result of centuries of adaptive changes, which brought to the steady development of a morphology.
The game theory says us that the reality is a great multiplayers’ game and that it is necessary studying the dynamics and adopting strategies to understand how to win the challenge.
A successful way to regive life to the cities, especially the destroyed ones, where the reconstructions will be long and slow (for l’Aquila 20 years are estimated) is the design, in the opinion of Luca Guerrini from Politecnico di Milano.
The visual art, the temporary exhibitions, the light games, the construction of little artefacts designed to make people curious, hosting events like little cooking show, creating social aggregation can be an efficient way to reconnect the citizens to the cities, deprived of their identity.
Massimo Schinco from Università degli Studi di Pavia, notifies us that play is a serious thing and so that playing with ephemeral architectures inserting them into unconventional contexts can contribute to reinvent the reality through a sharing process, which may help to rethink places.
Finally, the link that stitches all the speeches is the Italian architectonic Heritage, that always is the benchmark for many architectures from other countries, in addition to the huge theoretical contribution of great architects of the Past, as Alberti, Palladio, Vignola, Serlio: with their Treaties they offer food for thought, still nowadays.
This great number of extraordinary researches, of which this report could give only an incomplete and partial idea, should find the way to cross the borders of universities and research centres, through the continued discussion with operators in the sector, even included the self-employed architects, that face today’s everyday challenges.
A such international and engaging event should be shared as much as possible, even with new means: besides, for two days, even if we all arrived from different countries around the world and from different cultural backgrounds, we all talk the same language, the architecture one.
My video, here: