Oggi seconda puntata dei viaggi d’architettura che tanto successo hanno riscosso con il primo articolo.
Abbiamo fatto questo giro nel 2013, ad agosto e questo ci ha consentito di osservare i luoghi, inusuali per il turismo di massa, quasi deserti (e di fare tante foto senza umani, quelle che preferisco!)
QUI come al solito trovate la mappa del viaggio, con le esatte posizioni delle varie tappe, che questa volta sono molto difficili da trovare, se non si conoscono i luoghi.
Iniziamo subito dalla prima tappa.
CIMITERO DI PARABITA (LE)
Si avete capito bene, ho scritto proprio cimitero.
Per evitare di dover scavalcare il muro come (non ci permetteremmo mai!) abbiamo fatto noi non andateci di lunedì, perché è chiuso.
Il cimitero di Parabita è quello che io definisco un atto coraggioso di architettura, in un luogo – oltretutto – dove non ce lo si aspetterebbe.
A volte però succede. Succede che nel 1967 l’amministrazione comunale di Parabita, nel profondo sud salentino, assegni l’incarico per la progettazione del cimitero ad Alessandro Anselmi e Paola Chiatante dello studio GRAU (Gruppo Romano Architetti Urbanisti), nato nei primi anni ’60 a Roma, dalla polemica antiaccademica: gli architetti dello studio GRAU in sintesi avversavano la corrente, prevalente in quegli anni, del funzionalismo, portando avanti una ricerca alternativa sulla struttura della forma e sulle leggi aggregative.
Anselmi e Chiatante elaborano un progetto audace, assolutamente innovativo per quegli anni, che dimostra attenzione alla geometria compositiva, portata quasi all’esasperazione, combinata allo studio della prospettiva e delle relazioni tra gli spazi.
Se la si osserva dall’alto la pianta del cimitero ha la forma di un capitello corinzio, una forma classica, un archetipo dell’architettura classica, riproposto nel corso della storia in chiave diversa, che, diventando un gigantesco “fuori scala” perde il suo ruolo di elemento architettonico, di particolare, per diventare un elemento governatore dello spazio.
Il cimitero si articola su tre livelli, terrazzati, in perfetto accordo con il declivio naturale del terreno, costringendo il visitatore ad una progressiva ascesa, che potrebbe richiamare la scalata al paradiso, come nella più classica tradizione dantesca, richiamata anche da Terragni nel mai realizzato Danteum.
L’elemento del muro è fortemente connotativo, i setti definiscono spazi e ombre nette e taglienti, che sotto il sole di agosto ci sono apparse ancora di più un esercizio di geometria descrittiva, in applicazione della teoria delle ombre. Il tufo carparo gallipolino con il suo particolare colore giallo incornicia il geometrismo esasperato delle bucature, delle scale, degli accessi e nelle giornate di cielo terso, si staglia sull’azzurro costringendo il visitatore a una scomposizione dell’architettura nelle singole forme geometriche che la compongono.
Ma ciò che mi ha maggiormente impressionato è la sensazione che si prova nel passare da uno spazio all’altro: sembra di camminare in un interno, eppure in una città.
Una sensazione solenne e allo stesso tempo di profonda curiosità accompagna la visita, insieme ad un sentimento di profondo rispetto. Giunti in cima, si apprezza un panorama aperto sulla campagna salentina.
TEATRO SKENE’ – CAVA SERPENTANE – CURSI (LE)
Attorno a Cursi, cittadina balzata agli onori delle cronache proprio per la famosa pietra ampiamente utilizzata in edilizia, ci sono naturalmente molte cave.
Seguendo la mia mappa ne troverete però una molto particolare: è la Cava Serpentane, all’interno della quale è stato realizzato un anfiteatro all’aperto, che il suo progettista, l’architetto Claudio D’Amato Guerrieri, già fondatore e preside della facoltà di Architettura di Bari, ha battezzato Teatro Skenè.
Questo è un esperimento architettonico di riconversione di un luogo che aveva ormai esaurito la propria funzione estrattiva, ma che, grazie all’inserimento di alcuni elementi in pietra, che ben si sposano con il luogo naturale, ha offerto una nuova occasione di rilancio di un non-luogo, attraverso la definizione di uno spazio, di uno scenario.
Molto interessante osservare come le strutture progettate dall’uomo si appoggiano alla roccia scavata, completandola e dandole una interpretazione, una chiave di lettura nuova.
Il teatro Skenè è stato realizzato tra il 1994-1996 ed è stato oggetto di molti studi nei dottorati di ricerca, ergendosi ad emblema della Scuola dell’Architettura di Pietra.
Un (forse) inconsapevole tentativo di rigenerazione urbana, in epoca non sospetta, quando la rigenerazione urbana ancora non esisteva (!)
STAZIONE MARITTIMA – OTRANTO (LE)
Con un volo archi-pindarico passiamo ad Otranto e ci dirigiamo verso il mare. Certo, tutti conosciamo il meraviglioso centro storico di Otranto, la cattedrale, il castello, la meravigliosa passeggiata vista mare.
Sarebbe quasi scontato proporre una visita tra i vicoli. E infatti non lo farò. Proporrò invece di andare alla ricerca di alcuni edifici che, altrimenti, passerebbero inosservati.
Come sempre, per soli fanatici dell’architettura.
Nel 2001 lo studio dell’architetto Mario Cucinella ha progettato la stazione marittima e la capitaneria di porto, che si inseriscono in un progetto di riqualificazione e ricucitura dell’area portuale con la città vecchia.
Anche qui il tema del rapporto con il paesaggio è fortissimo. Lo studio Cucinella aveva il compito di inserirsi in un contesto storico e ambientale rilevante, vicino alla costa rocciosa e frastagliata e ha lavorato proprio su questo, progettando un edificio che da un lato sembra un costone di roccia staccatosi dalla costa e che dall’altro lato costruisce una piazza, protendendosi verso una struttura ombreggiante.
L’uso dei materiali è come sempre fondamentale: sapientemente lo studio ha scelto di rivestire l’edificio di pietra leccese segata a mano che gli ha conferito un aspetto familiare, dando la sensazione al visitatore che fosse lì da sempre.
Il merito di questa operazione è lampante: la rinuncia a una architettura di grande impatto, a vantaggio dell’ambiente circostante, che non ne viene deturpato, anzi, che da questa architettura trae giovamento.
CASA MIGGIANO – OTRANTO (LE)
Proseguendo sul lungomare, nella densa cortina di case è possibile scorgere Casa Miggiano progettata a metà degli anni ’90.da Umberto Riva, architetto e pittore, allievo di Carlo Scarpa, che ha fatto della ricerca sulla casa e del rapporto con le arti figurative, del disegno come strumento per la comprensione dell’architettura, il filo conduttore della sua opera professionale.
L’idea dell’architetto era quella di reinterpretare una masseria pugliese in chiave moderna, traslando l’archetipo dalla campagna alla città.
Ci sono molti richiami alla tradizione pugliese: il rapporto con lo spazio esterno tramite bucature di modesta entità, la casa a corte della tradizione mediterranea, l’area esterna ombreggiata, su vari livelli.
La costruzione della casa è durata molti anni, con diverse battute d’arresto, tanto che lo stesso architetto diceva che “non è mai stata nuova” perchè il tempo ha cominciato a lasciare il proprio segno sull’edificio prima ancora che fosse terminato. Una volta finita sembrava essere lì da sempre, “sembrava appartenere da sempre a quel luogo“.
Sarebbe stato molto interessante osservarla dall’interno, soprattutto perchè Riva da ottimo allievo di Carlo Scarpa. ha sempre curato gli interni dei propri edifici fino al più piccolo dettaglio, ma ciò è naturalmente impossibile, a meno che non si conoscano i proprietari.
CAVE DI BAUXITE – OTRANTO (LE)
Per terminare questa gita abbiamo scelto uno di quei posti che, se non li avessi visti con i tuoi occhi, penseresti che sono finti, perchè sembrano usciti dall’illustrazione di un libro di fiabe o dall’abile fotoritocco di un grafico esperto.
Le cave di bauxite, appena fuori da Otranto, dismesse ormai dal 1976, sono un posto quasi magico, in cui chi è appassionato di fotografia può sbizzarrirsi con la propria arte e chi ama la natura può godere di un paesaggio più unico che raro, caratterizzato dal contrasto di colori della terra rossa e del laghetto verde smeraldo che si è formato nella cavità creata negli anni dalla estrazioni, per la produzione di alluminio.
Se ci andate d’estate non dimenticate cappello ed occhiali da sole, perchè non c’è ombra e il sole si riflette ovunque.
Questa piccola gita dimostra che anche il Salento, meta arcinota ed ormai molto inflazionata dal turismo di massa, può nascondere mete inesplorate, piccole opere pregevoli di architettura, paesaggi suggestivi, che i nostri occhi non riuscirebbero a scorgere, non sapendo dove cercare.
Il fil rouge che ci ha condotto è stato il rapporto dell’architettura e della città con il paesaggio, con l’orografia del terreno, con l’ambiente naturale, con la materia, con la vegetazione.
Ecco il difficile compito dell’architetto: interpretare i luoghi senza snaturarne la vocazione e la morfologia, valorizzandone i caratteri e le peculiarità, tenendo ben presente che esistono interventi che non si possono fare perchè non rispettano il paesaggio urbano o naturale che ci circonda.
E voi siete mai stati in una delle mete del mio viaggio?
Se volete restare aggiornati seguite il mio blog!