“È possibile che una nuova era delle reti possa fornire gli strumenti connettivi in grado di trasformare l’eterno paradigma della partecipazione in azione concreta?”
Carlo Ratti_Architettura Open Source_2014
Nel libro di Ratti questa domanda rimane sospesa a mezz’aria, come una provocazione per spingere il lettore ad una riflessione sugli sviluppi concreti di tanto parlare.
Per rispondere occorre innanzi tutto ripercorrere a mente lucida i passi necessari per riconoscere gli errori che fino ad ora si sono – forse ingenuamente, forse consapevolmente – commessi nella pianificazione partecipata. Non basta prevedere tavoli di confronto, workshop, incontri con gli stakeholders, magari dopo aver già definito la strategia da adottare, per convincerli del percorso già immaginato dall’amministrazione. Non è sufficiente rendere trasparenti le decisioni o fornire la città di un “cruscotto” dove ipoteticamente potranno accedere a dei servizi.
Occorre comprendere come il cittadino possa diventare, step by step, prima “sensore umano” per rilevare gli aspetti più critici della vita quotidiana ed in secondo luogo come possa dare un concreto contributo per migliorare servizi e progetti, trasformandosi di fatto da semplice city user in cittadino attivo, che può porre al servizio della comunità le proprie esperienze, le proprie abilità, il proprio lavoro, collaborando insieme alle amministrazioni al governo del territorio. Questo processo produce inevitabilmente inclusione sociale, in quanto il cittadino non si sente più abbandonato al proprio destino, alla propria casa in periferia, ai propri viaggi giornalieri in pessime condizioni sui mezzi pubblici, ma sente di poter cambiare qualcosa attraverso le proprie opinioni, ma soprattutto le proprie proposte. In questo processo sicuramente la rete può costituire il supporto ideale, per lo scambio di opinioni, ma soprattutto per connettere realtà lontane che hanno già sperimentato modelli di open government e sono pronte a darne testimonianza, fungendo da progetti pilota per realtà meno evolute.
L’Italia è ancora in fase di sperimentazione, perché da un lato le amministrazioni hanno ancora tutto l’interesse a gestire il territorio in maniera tradizionalmente top-down, probabilmente non avendo ancora compreso fino in fondo le potenzialità e il valore aggiunto dell’open government. Al contempo i cittadini non hanno ancora sviluppato quel senso di responsabilità nei confronti dei beni comuni e quelle forme di rispetto che possono fare la differenza per un territorio, e cercano ancora il capro espiatorio dei propri problemi di natura sociale ed economica nelle amministrazioni.
La soluzione, in Puglia, ma mi azzarderei a dire dappertutto, potrebbe trovarsi, almeno in parte, in quelli che abbiamo definito clusters, e nella parola/acronimo che costituisce il titolo di questo contributo e cioè C.RE.A.: Clusters REthinking About…SMART CITIES. Ovvero: la chiave per l’evoluzione del territorio pugliese e per raggiungere la smart specialization della regione Puglia è in primo luogo la creatività, intesa come la capacità di immaginare nuovi scenari e di proporre un approccio diverso alla gestione del territorio e quindi la visione alternativa delle città sviluppata dai clusters, da gruppi attivi sul territorio, prevalentemente giovani, che hanno il diritto, ma anche il dovere di fungere da primo supporto alle amministrazioni per la vera social innovation. Quando le risorse economiche non sono presenti in grande quantità, la creatività ha il potere di costituire un mezzo per migliorare non solo l’ambiente costruito in senso stretto, ma anche di attivare processi virtuosi di rigenerazione sociale ed economica.
Recuperare un edificio dismesso, ad esempio, può senza dubbio costituire un vantaggio dal punto di vista del patrimonio immobiliare, il cui valore aumenta, ma può voler dire anche dare una funzione ad un luogo che fino ad allora è stato semplicemente una scatola vuota; al contempo può voler dire dare una sede ad una start up o ad un’impresa che non ha più un luogo fisico in cui operare a causa della crisi, creare un hub o spazi di co-working, inserire funzioni per la comunità che mancano sul territorio, ridando vita non soltanto all’edificio in sé, ma anche alla strada su cui sorge, che acquisterà valore, e innescando processi virtuosi di rivitalizzazione di altri spazi, pubblici o privati, aperti o chiusi nei dintorni.
La Puglia forse non avrà la forza economica per compiere una rivoluzione industriale ma ha senza dubbio la forza sociale per compiere una rivoluzione culturale. Si tratta di stravolgere il modo di guardare: una criticità non deve apparire semplicemente come uno squarcio sul territorio, bensì come un potenziale nodo da cui ripartire per il rilancio dell’area in cui sorge. Una amministrazione attenta a questo tipo di politiche di rigenerazione degli spazi in disuso, piuttosto che al consumo di suolo, insieme a dei cittadini attivi, che decidono autonomamente di riappropriarsi degli spazi, come è avvenuto per la Caserma Rossani di Bari, sono gli ingredienti che devono esistere su un territorio per consentire il cambiamento. La Puglia ha buone basi su cui lavorare e crescere, in questo senso.
La partecipazione, la collaborazione, l’inclusione sociale, la creatività, la capacità di lavorare insieme per l’attivazione di processi virtuosi, cercando vie sempre più istituzionalizzate per operare, è la chiave per costruire un masterplan per rendere più intelligenti, efficienti, amichevoli le città pugliesi. Una volta che il processo di rivoluzione sarà avviato, le tecnologie potranno costituire un valido supporto per il coinvolgimento di tutta la popolazione, per creare reti di clusters sparsi sul territorio e dare il via anche alla fase di innovazione tecnologica a supporto di quella sociale e culturale.
Il ruolo degli architetti, degli urbanisti, dei sociologi non è più quello di stare ai margini per impartire consigli, più o meno utili, bensì quello di traghettare i cittadini e le amministrazioni nella nuova sfida dell’Open Government, partecipando attivamente e al contempo diventando soggetti promotori di progetti mirati, basati sulla conoscenza della vocazione dei territori di intervento.
Il mio punto di vista – quello di una giovane architetto nata e vissuta a Bari, che però ha viaggiato e osservato quello che accade in Paesi più evoluti dal punto di vista del senso civico e di responsabilità – è che la Puglia può e deve progredire puntando sulle proprie risorse, territoriali ma soprattutto umane, mettendo in atto una rivoluzione dal basso per la rigenerazione delle città, che deve partire innanzi tutto dall’educazione e quindi dalle scuole, che devono insegnare il senso civico e promuovere iniziative per rifondare una società basata sul rispetto e sul senso di responsabilità verso il primo bene comune: le nostre città.
Tratto da “C.Re.A – Clusters REthink About Smart Cities – Sviluppo di network per il governo condiviso del territorio: proposte per i percorsi partecipati di smart specialization della Puglia” – di Cecilia Surace (2015)
Intera tesi pubblicata e scaricabile qui