La necessità di cambiare la destinazione d’uso di un immobile è legata a molteplici fattori, alcuni di carattere tributario (“architè, vorrei pagare meno tasse!“), altri correlati all’andamento del mercato immobiliare in una determinata zona.
1. Destinazione d’uso: cos’è?
La prima riflessione da fare è connessa al significato di destinazione d’uso che non va MAI in nessun caso confusa con la categoria catastale, che l’immobile assume in catasto a seguito della dichiarazione del tecnico, ma che in alcun caso è probatoria. La destinazione d’uso è una caratteristica che viene impressa all’immobile da un titolo abilitativo: ad esempio un imprenditore edile costruisce un edificio pluripiano sulla base di un progetto che prevede al piano interrato una autorimessa, al piano terra locali commerciali e ai piani superiori appartamenti a destinazione residenziale: in questo caso ognuna delle unità immobiliari avrà la destinazione assegnata dal progetto approvato, sulla base del quale verrà rilasciato il permesso di costruire.
2. Come conoscere la destinazione d’uso?
Prima di imbarcarvi in qualsiasi operazione edilizia, dovete accertarvi della destinazione d’uso posseduta dal vostro immobile: mai fidarsi delle apparenze…un garage dove non parcheggiate l’auto da anni potrebbe sembrare un deposito, dall’uso che ne fate quotidianamente, no? La soluzione è sempre controllare quale sia l’ultimo titolo abilitativo conservato negli archivi dell’ufficio tecnico del vostro comune. Se siete precisi e conservate a casa una copia del progetto e del titolo ben venga, altrimenti potete richiedere all’Ufficio Tecnico un documento che si chiama “certificato di destinazione d’uso“, indicando nell’istanza i riferimenti relativi all’immobile (in genere trovate il modulo di istanza sul sito del comune). Sulla base delle pratiche edilizie presenti in archivio e dei titoli abilitativi rilasciati il comune vi comunicherà non solo la destinazione d’uso ma anche il numero del permesso di costruire o della concessione edilizia che ha conferito all’immobile quella destinazione.
3. Cambiare la destinazione d’uso è sempre possibile?
No, non è sempre possibile.
Prima di imbarcarsi in una impresa che potrebbe rivelarsi fallimentare occorre capire se è possibile cambiare la destinazione d’uso dell’immobile di vostro interesse. La fattibilità di questo intervento dipende essenzialmente da due fattori:
- la compatibilità della destinazione di progetto con il contesto territoriale (la zona omogenea) come definito dal piano urbanistico e
- la compatibilità delle caratteristiche tipologiche, fisiche e dimensionali dell’immobile con la destinazione d’uso di progetto prescelta.
Il primo dei due fattori è valutabile attraverso la verifica dell’ammissibilità della destinazione d’uso all’interno delle NTA (Norme tecniche di Attuazione) del piano urbanistico; in altre parole, se il contesto di riferimento è di tipo industriale la destinazione d’uso residenziale non sarà probabilmente compatibile, così come vale il contrario: in ogni caso le destinazioni ammesse sono enunciate in genere nella norma di riferimento di ogni singola zona tipizzata dal piano.
Il secondo fattore è valutabile attraverso lo studio del Regolamento Edilizio che stabilisce requisiti minimi dimensionali e tipologici rispetto alle varie destinazioni d’uso: ad esempio l’altezza minima, la dotazione minima di superficie finestrata, la minima superficie netta, la dotazione di servizi igienici o di dispositivi per il comfort termo-igrometrico come le intercapedini. Leggere cosa prescrive il regolamento edilizio per la destinazione d’uso di vostro interesse è fondamentale per valutare la fattibilità dell’intervento: in caso l’altezza minima di un locale commerciale sia 2,70 m è improponibile pensare di cambiare la destinazione d’uso di un deposito con altezza netta di 2,40 m, perchè l’Ufficio tecnico valuterà la pratica non conforme, rigettando l’istanza. E voi avrete perso solo tempo. Naturalmente è possibile anche valutare la possibilità di “adeguare” l’immobile alle caratteristiche richieste dal regolamento edilizio, effettuando quello che in genere viene definito “cambio d’uso con opere”.
4. Come cambiare la destinazione d’uso?
Cambiare la destinazione d’uso richiede SEMPRE una pratica edilizia. In alcuni casi questa può essere una semplice SCIA o una SCIA alternativa a permesso di costruire, in altri casi deve necessariamente essere un permesso di costruire. Non è semplice decidere quale pratica edilizia utilizzare ed in quali casi, perchè il testo unico dell’edilizia non è molto chiaro al riguardo, demandando perlopiù alle regioni e ai comuni la prerogrativa di disciplinare le prassi all’interno del proprio territorio. Quel che è certo è ciò che ci dice l’art. 10 comma 1 lett. c) del dPR 380/2001: tutti gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino mutamento della destinazione d’uso nelle ex zone A di cui al D.M. 1444/1968 (i centri storici per intenderci) sono da assoggettarsi a permesso di costruire.
In generale, sebbene le indicazioni varino da comune a comune, nel decidere quale pratica presentare per il cambio di destinazione d’uso occorre valutare se si tratti di un cambio d’uso senza opere o con opere (e opere di quale entità: interventi pesanti di ristutturazione con variazioni di altezze o di prospetto, adeguamento sismico e in generale opere strutturali, riattamento globale di un edificio in stato di abbandono in genere vanno sempre in permesso di costruire) e valutare se si sta operando nella medesima categoria funzionale o in categorie funzionali diverse. Cosa significa questo? Anche qui l’interpretazione non è univoca: l’unico aiuto ci è offerto dal testo unico, che all’art. 23-ter Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante (inserito con lo Sblocca Italia) ci dice:
1. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate:
a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.2. La destinazione d’uso di un fabbricato o di una unità immobiliare è quella prevalente in termini di superficie utile.
3. Le regioni adeguano la propria legislazione ai principi di cui al presente articolo entro novanta giorni dalla data della sua entrata in vigore. Decorso tale termine, trovano applicazione diretta le disposizioni del presente articolo. Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.
Sembrerebbe quindi che siano urbanisticamente rilevanti i passaggi da una categoria funzionale elencata ad un’altra: ad esempio da commerciale a residenziale, o da residenziale a turistico-ricettiva e che siano sempre consentiti i mutamenti all’interno di una medesima categoria funzionale (ad esempio da residenziale a studio privato che da sempre viene considerato assimilabile al residenziale o da una tipologia commerciale ad un’altra, o da un commerciale ad un artigianale di servizi, o da deposito a garage).
Ma cosa significa “urbanisticamente rilevante“? si tratta di una definizione che rimanda ad un rapporto con i servizi della città e quindi al concetto di standard introdotto dal D.M. 1444/1968. La domanda è: la città “si accorge” del mutamento di destinazione d’uso del mio immobile? se da deposito modifico la mia destinazione d’uso a residenziale, modificherò l’utilizzo non solo di un immobile privato ma di parte della città che gli sta attorno: se insedio una famiglia questa avrà bisogno di parcheggi, di servizi di vicinato, di scuole, di verde pubblico. Ecco che il cambio d’uso è appena diventato non solo urbanisticamente rilevante ma anche oneroso: è necessario che il richiedente paghi gli oneri di urbanizzazione, cui l’immobile ad uso deposito ha contribuito solo in parte.
Il che ci porta alla domanda più gettonata.
5. Cambiare la destinazione d’uso costa?
La risposta è naturalmente si, quasi sempre.
Il cambio d’uso urbanisticamente rilevante ovvero da una categoria funzionale all’altra costa sempre. Se il mutamento della destinazione d’uso è senza opere si corrispondono al comune solo gli oneri di urbanizzazione, secondo le tabelle approvate dal comune (in genere si applica l’aliquota prevista per la ristrutturazione edilizia). Se il cambio d’uso comprende opere si corrispondono sia gli oneri di urbanizzazione che il contributo sul costo di costruzione dell’opera, valutato secondo l’entità delle opere eseguite (o mediante tabelle approvate o mediante corresponsione del 5% del costo documentato da un computo metrico, secondo il prezziario regionale).
Il cambio d’uso urbanisticamente rilevante, che aumenta il carico urbanistico, ovvero che sovraccarica i servizi della città di nuova utenza è sempre oneroso, in alcuni casi i piani urbanistici prescrivono, oltre la corresponsione del contributo di costruzione (somma di oneri + costo di costruzione), anche la monetizzazione o il reperimento di superfici a standard e parcheggi.
Il cambio d’uso nella medesima categoria funzionale, senza opere, che non aumenta il carico urbanistico, anzi, se possibile lo disincrementa, è considerato quasi sempre gratuito. (in genere il declassamento a deposito o a garage, qualora possibili per caratteristiche funzionali, è considerato da quasi tutti i comuni, gratuito)
Per concludere
Potrebbe quindi dedursi come regola generale (sempre da verificare presso l’ufficio tecnico di riferimento) che:
- i cambi d’uso senza opere, all’interno della stessa categoria funzionale o in declassamento possono in linea di massima essere realizzati con SCIA ed, in alcuni casi, sono gratuiti, in altri vedono la corresponsione degli oneri di urbanizzazione (es. upgrade da studio a residenza senza opere);
- i cambi d’uso urbanisticamente rilevanti senza opere o con opere di manutenzione straordinaria possono essere realizzati con SCIA alternativa a PdC e sono soggetti al pagamento dei soli oneri se senza opere e del contributo di costruzione (oneri + costo) se con opere;
- i cambi d’uso urbanisticamente rilevanti con opere di ristrutturazione pesante o in zona A devono essere realizzati con permesso di costruire e pagamento del contributo di costruzione e, se previsto dal piano urbanistico, con monetizzazione degli standard e dei parcheggi.
Tuttavia, in linea di massima, sarebbe opportuno che ogni regione emanasse le linee guida di riferimento, in ordine a questo argomento, che risulta sempre un po’ spinoso per gli uffici tecnici, ed ostico per l’utenza, così come ha fatto la Regione Lombardia.
Un ultimo avvertimento riguarda la reversibilità dei cambi d’uso: occorre sempre considerare che se si è ottenuto un cambio di destinazione d’uso con una legge speciale come ad esempio il condono edilizio, non conviene effettuare il cambio, in quanto lo stesso diventerebbe irreversibile: ad es. se avete una abitazione con altezza inferiore a 2,70 m non cambiate la destinazione, perchè è stato possibile sanare la situazione nonostante la non conformità, solo in virtù della legge speciale. Cambiando la destinazione non potrete più tornare indietro!
Inoltre, conviene considerare che ormai quasi tutti i cambi sono onerosi, per cui, pensateci bene prima di presentare la pratica…tornare indietro, qualora possibile, ha sempre un costo!
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