Oggi vi porto con me fuori dalla mia amata Puglia, raccontandovi di un giro che abbiamo fatto ad aprile 2013 a Salerno e Ravello.
Come sempre trovate la mappa dell’esplorazione QUI.
Solo una piccola nota prima di cominciare: questo itinerario, come tutti quelli da me descritti in questo blog è parziale e frutto di scelte personali, non rappresenta ovviamente tutto quello che è possibile vedere nei luoghi visitati, ma è essenzialmente costruito utilizzando un fil rouge, un tema dominante che in qualche modo lega i vari elementi del percorso. In questo caso la nostra gita sarà all’insegna della modernità perchè tutte le architetture inserite nell’itinerario fanno parte di quell’epoca della storia dell’architettura che viene definita contemporanea. In particolare spazieremo in un lasso temporale che va dagli anni 70 del Novecento ad oggi.
P.s. Se non diversamente specificato tutte le foto inserite nei miei articoli sono mie o comunque scattate dalla mia macchina fotografica da una mano a me molto nota. Inoltre, cliccando sulle foto potete ingrandirle e visualizzare la galleria!
Non vi tedio oltre e partiamo subito!
CHIESA DELLA SACRA FAMIGLIA – ARCHITETTO PAOLO PORTOGHESI-INGEGENERE VITTORIO GIGLIOTTI
La chiesa della Sacra Famiglia è stata progettata da Paolo Portoghesi, architetto e accademico, esponente dell’architettura post-moderna, coadiuvato dall’ingegnere Vittorio Gigliotti, salernitano di nascita, il cui apporto, data la complessità delle strutture, è stato fondamentale per la buona riuscita dell’opera.
La chiesa sorge nel rione Fratte, quasi nascosta dai brutti edifici circostanti, circondata da un parcheggio e da un giardinetto abbandonato di periferia.
Nonostante questo l’edificio possiede una forza ed un carattere impossibili da cancellare: interamente costruita in cemento armato a vista, realizzata con un complicato sistema di casseforme sovrapposte che richiese addirittura il coinvolgimento di maestranze navali, fu terminata nel 1974.
Questa opera neo-modernista è il tentativo dell’architetto di fondere tradizione ed innovazione: la tipologia e gli elementi classici della chiesa (il campanile, la copertura a falda, lo spazio centrale) con forme innovative realizzate con un materiale non considerato nobile, inidoneo a detta dei più, alla realizzazione di un edificio sacro.
Portoghesi adotta la forma del cerchio, utilizzatissima nella simbologia sacra, geometria perfetta che traduce l’infinito, l’inizio e la fine di ogni cosa (l’alfa e l’omega), il divino.
L’interno è infatti un complicato sistema di cerchi concentrici, che, quasi in maniera ossessiva, caratterizzano ogni elemento costruttivo: le pareti, le gradonate, la copertura. L’altare, in posizione quasi centrale, è rialzato su una gradinata circolare e illuminato dall’altro da un lucernario ancora circolare.
Il ritmo delle finestre alte e strette caratterizza la facciata dell’edificio, generando lame di luce che si intersecano ai raggi diffusi provenienti dall’alto. Lo studio della luce in uno spazio come quello generato da Portoghesi, fatto di rientranze e sporgenze, di elementi tridimensionali sovrapposti, era essenziale per ottenere il giusto effetto chiaroscurale che valorizzasse l’architettura stessa.
L’esterno regala una strana sensazione di incompiuta ma allo stesso tempo si comprende perfettamente che nessun altro materiale, nessun’altra interpretazione della materia sarebbe stata possibile.
Io l’ho trovata assolutamente moderna, in un’epoca in cui si è riscoperta la potenza del cemento a vista ed in cui lo stile industrial sembra aver inventato qualcosa di totalmente nuovo, scopriamo che Portoghesi non solo lo aveva già capito, ma lo aveva già fatto e non all’interno di un negozio di abbigliamento, in una chiesa.
CITTADELLA GIUDIZIARIA – DAVID CHIPPERFIELD ARCHITECTS
Un’opera dalla gestazione lunghissima questa cittadella: il progetto di David Chipperfield vide la luce già nel 1999 e prevedeva di localizzare la cittadella nell’area dell’ex scalo ferroviario merci. I lavori sono stati appaltati nel 2003 ma da allora il cantiere è stato interrotto a causa del ritrovamento di resti archeologici e poi a seguito del fallimento della ditta aggiudicataria dell’appalto, che, nemmeno a dirlo, aveva partecipato ad una gara al massimo ribasso. I lavori di completamento sono stati appaltati nel 2016, ma già dal 2017 è in corso il trasferimento degli uffici.
Quando ci sono andata io il cantiere era fermo, ma erano già stati costruiti alcuni degli edifici previsti.
L’idea di Chipperfield era quella di costruire otto edifici, di altezze e forme differenti, con ampie vetrate ed immersi nel verde: il complesso non doveva apparire austero ed inospitale, ma avrebbe dovuto richiamare l’idea della giustizia come di un valore comune, alla portata di tutti.
All’interno del progetto sono state poi inserite alcune opere d’arte selezionate da una giuria di esperti, tra le quali spicca il Faro della Giustizia, visibile da piazza Dalmazia, realizzato da Ben Jakober e Yannich Vu, ciò per ottemperare a quanto prescritto dalla legge 717/1949 che prevede l’obbligo di inserire all’interno degli edifici pubblici di nuova progettazione (il cui costo di realizzazione sia superiore a 1 milione di euro) opere d’arte fruibili a tutti (lo sapevate?).
Ciò che maggiormente mi ha colpito di questa struttura è il disegno dei prospetti, l’attenzione minuziosa a quella che di fatto è la parte più “urbana” di un’architettura e che costruisce i rapporti e le relazioni di un edificio con la città. Troppo spesso lo studio dei prospetti è tralasciato, si curano molto gli interni, gli impianti, alcuni dettagli costruttivi, ma non si presta attenzione alla “pelle” dell’edificio, che è di fatto sia una parte interna che una parte esterna.
La cosa strabiliante è come Chipperfield riesca ad ottenere una facciata interessante senza utilizzare aggetti eccessivi o elementi decorativi, ma semplicemente con l’uso del colore, con lo studio delle ombre sulle bucature, con l’utilizzo di pochi elementi geometrici: i marcapiani, le ringhiere alla romana, gli architravi.
Vorrei tornare per osservare il risultato finale, non appena l’opera sarà terminata del tutto, ma la prima impressione è stata positiva, anche per lo studio dell’inserimento nella città con la creazione di strade, aree verdi e piazze, che consentono alla ciclopica opera di non sembrare una astronave lanciata sulla terra per sbaglio sui binari dismessi della ferrovia di Salerno!
STAZIONE MARITTIMA – ZAHA HADID ARCHITECTS
Anche questo progetto ha avuto un iter abbastanza travagliato, tra imprese retrocesse dal contratto e ritardi di realizzazione. Questa volta il cantiere è durato “solo” 11 anni, dal 2005 al 2016, anno in cui la struttura è stata finalmente inaugurata.
L’impronta dell’architetto Zaha Hadid è subito visibile: il concept di progetto era una sorta di ostrica protesa verso il mare, sospesa a mezz’aria, che costituisce un collegamento ideale tra il molo Manfredi del porto e il lungomare di Salerno.
Si tratta di un progetto molto controverso, che ha vinto alcuni importanti premi come l‘A+Awards 2017 di Architizer, ma che ha anche ricevuto molte critiche, come si addice perfettamente allo stile dell’architetto donna più famosa al mondo, morta poco prima dell’inaugurazione di questa struttura.
Anche qui tornerò sicuramente a vedere il risultato finale, perchè, come potete osservare dalla mia foto, nel 2013 l’ostrica era ancora in alto mare (!).
GRAND HOTEL SALERNO – ARCHITETTO NICOLA PAGLIARA
Esordisco dicendo che non conoscevo l’architetto Nicola Pagliara, napoletano di nascita, classe 1933, prima che M. mi regalasse “La felicità di essere“, un libro meraviglioso che vi consiglio in cui l’architetto racconta alcuni aneddoti della sua vita, le sue passioni e le sue delusioni.
Forse è proprio per questo che quando ho visto il Grand Hotel che ha progettato sul lungomare di Salerno, sono riuscita a cogliere alcune sfumature, piccole attenzioni, particolari sensibilità, proprie di quell’uomo che avevo conosciuto dalle pagine di quel libro, prima ancora che di Nicola Pagliara architetto.
L’edificio è una nave. Nel senso che non somiglia a una nave, lo è.
Si tratta di un transatlantico, sorto al posto di un vecchio cementificio, di otto livelli. I primi tre livelli del prospetto verso il mare sono rivestiti di marmo nero, con una striscia rossa continua, un richiamo alla linea di galleggiamento della nave, mentre i livelli superiori sono dotati di terrazzini simili a quelli delle navi da crociera e di elementi montanti verticali che assomigliano a scalette alla marinara.
L’ultimo livello ospita un ristorante panoramico ed è addirittura fornito di una piattaforma circolare per l’atterraggio degli elicotteri.
Naturalmente i prospetti che si affacciano all’interno, su un parcheggio cittadino, sono completamente diversi, hanno la caratteristica di fronti urbani, con l’utilizzo di marmi policromi che li rendono vivaci.
Un edificio che qualcuno ha definito un ecomostro ma che io ho invece amato per la sua concezione e per la cura di ogni materiale e di ogni dettaglio. Sogno un giorno di soggiornarci…se non fosse che l’hotel è a 5 stelle!
AUDITORIUM DI RAVELLO – OSCAR NIEMEYER ARCHITECTS
Lungo la costiera amalfitana siamo giunti fino a Ravello, dove l’auditorium di Oscar Niemeyer è stato costruito tra il 2008 e il 2010.
L’edificio è secondo me un’opera straordinaria di architettura contemporanea, nonostante sia stato aspramente criticato e avversato, soprattutto dall’associazione Italia Nostra, che lo ha definito “un abuso edilizio“, ritenendo che l’audacia e la modernità di questa architettura non si sposassero bene con il paesaggio di Ravello.
Io trovo invece l’opera riuscita in maniera perfetta. Lo studio del naturale declivio del terreno è alla base della realizzazione dell’auditorium, che sorge al termine di una piazza oblunga, incastonato in costone di roccia.
Naturalmente la peculiarità, che si riscontra in tutte le opere di Niemeyer, è il colore bianco e l’uso della linea curva, che era per lui “libera e sensuale, la curva che incontro nelle montagne del mio paese, nella donna preferita, nelle nuvole del cielo e nelle onde del mare”.
Il risultato finale è un guscio bianco con un’ampia vetrata nera specchiata, uno schermo che riflette il magnifico panorama marino di Ravello, duplicandolo.
Un’opera strepitosa, che penso sia necessario osservare con un occhi scevri da pregiudizi, ricordando sempre che la città non è e non deve mai essere un organismo cristallizzato ed immobile nel tempo, cosa peraltro impossibile, ma il risultato dell’evolversi dei tempi, senza per questo cancellare i paesaggi e le architetture storiche, che sono un patrimonio inestimabile del nostro Paese.
Anche questo giro è terminato, continuate a seguirmi ed iscrivetevi al mio blog per restare aggiornati su ogni nuovo articolo!
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