Piccola premessa:
Lo so che sono monotematica ma… io tengo alla mia città. Amo il posto in cui vivo così tanto da restare qui cocciutamente, da provare ogni giorno ad impegnarmi allo stremo delle mie forze per fare nel mio piccolo tutto quello che mi è possibile per migliorare il luogo meraviglioso in cui sono nata. Molte persone più anziane mi dicono che qui per noi non c’è niente, che non c’è speranza, che i vertici, i politici, gli interessi economici e personali decidono tutto. Io ho deciso, invece, che sono ancora troppo giovane per arrendermi. Questo è il mio contributo, ricompreso nel resoconto della prima riunione del gruppo “Salviamo via Sparano”. Questa è la mia idea di quello che la mia Terra meriterebbe: delle persone che la rispettino e la valorizzino e mettano in campo le proprie idee, le proprie capacità e le proprie forze per migliorarla e non per affossarla. Prendersi cura dei luoghi amati e difenderli è probabilmente il primo passo per una civiltà migliore, perché possa esserci una speranza, anche per la mia, per la nostra Terra.
Cecilia
Via Sparano è un luogo identitario della città di Bari. Fin dai tempi della sua genesi è stata il cuore pulsante della vita dei baresi, la via del commercio, con i negozi più belli della città e le vetrine sfavillanti, il “salotto buono” dove ci si incontrava ed ancora oggi ci si incontra per fare acquisti e passeggiare o sostare e chiacchierare tranquillamente. È una strada caratterizzata da edifici di pregio, appartenenti ad epoche diverse, che vanno dagli anni ‘20 del 900 di Palazzo Mincuzzi a palazzo Borea di Chiaia e Napolitano, anni ‘60.
Nel 1972 l’allora sindaco di Bari, Vernola, decise di chiudere al traffico via Sparano e negli anni ’90 si decise di abbellirla con un po’ di verde: da allora via Sparano è diventata per i baresi la strada con le palme, che negli anni sono cresciute, offrendo con la propria ombra riparo dalla calura estiva, ai molti baresi che sostano accomodandosi sulle sedute dei vasconi in cui sono sistemate le piante.
Oggi via Sparano, per come la conosciamo e per come si è insinuata nella memoria affettiva dei baresi, sta per scomparire, per lasciar spazio al restyling concepito dal T-Studio di Roma, vincitore del concorso di idee bandito dal comune di Bari nel 2006. Sulle modalità di questo restyling sono però necessarie alcune riflessioni.
La città è, per sua natura intrinseca, un organismo in movimento ed in continuo cambiamento: sarebbe inopportuno ed irrealistico voler paralizzare una strada riproducendola come identica a se stessa nei secoli; oltretutto è evidente che via Sparano ha bisogno di una rigenerazione, per quanto ai baresi potrebbe andar bene così com’è ancora per molti anni, con una manutenzione più costante e semplici interventi sulla pavimentazione e l’arredo urbano. I vasconi prefabbricati in cemento con inserti in orsogrill, tanto vituperati dalla capogruppo del team di progettazione vincitore del concorso, Guendalina Salimei, offrono una configurazione della strada un po’ demodé, sicuramente obliterata dal tempo. Cambiare dunque si può e si deve. Ma a quale costo? E soprattutto, con quali esiti?
Il concorso, bandito ormai un decennio fa, ha stabilito che il progetto vincitore fosse quello dell’architetto Salimei e del suo gruppo, basato su un concetto di “strada museo”, che prevedeva una serie di isole con sedute e opere d’arte contemporanea, da installare su appositi basamenti. L’idea di per sé non è entusiasmante, soprattutto se si accosta il concetto di museo, che fa pensare ad un luogo statico dove sono in mostra oggetti immobili, al flusso in movimento di persone e mezzi di una strada, per giunta di una strada come via Sparano. Probabilmente il modello della strada museo non è piaciuto nemmeno ai commercianti, ascoltati dall’allora sindaco Emiliano, oltre a non essere supportato da un adeguato budget per l’acquisto delle opere d’arte da collocare sui basamenti. E allora, improvvisamente, il concept del progetto, completamente snaturato, ha dato vita ai “salotti tematici” che non sembrerebbero essere peculiarmente caratterizzati e diversificati l’uno dall’altro, tanto da poterne comprendere nell’immediatezza il tema. Come se non bastasse sono intervenute le prescrizioni della Soprintendenza la quale ha deciso che le palme, tanto care ai baresi e attualmente disposte alternativamente su entrambi i lati della strada, fossero eliminate, per consentire il cosiddetto “effetto cannocchiale” che consentirebbe di traguardare i poli opposti della strada: da un lato la stazione centrale con la sua fontana, di non particolare pregio, dall’altra parte piazza Chiurlia, quella che una volta era la porta medievale per il borgo antico, ma che oggi è di fatto uno spiazzo colmo di automobili e di edifici ricostruiti in epoca recente o snaturati da interventi impietosi. Perciò via il verde, per lasciar posto ad anonimi cubi di cemento su cui avrebbero dovuto trovar posto opere d’arte cassate dal progetto, ma che oggi restano nel progetto senza un motivo apparente. “Salotti” assolati, in cui nessun anziano potrebbe mai sedersi perché scomodi, basta guardarli. Qualche fioriera che, va da sé, non potrà mai sostituire le palme nella funzione di ombreggiamento, ma addotta per mettere a tacere chi ha gridato alla cementificazione della strada.
Dunque ricapitolando abbiamo un progetto senza un concept, ormai datato, di cui si sono già visti esempi in giro per l’Italia nello scorso decennio, compresa piazza Cesare Battisti a Bari, del tutto similare per l’arredo urbano utilizzato, i cui esiti sono stati disastrosi: abbandono, vandalismo, spreco di risorse per l’ipermanutenzione causata dai danni arrecati. Abbiamo l’eliminazione di una serie di palme sopravvissute al punteruolo rosso, che, per quanto possano ritenersi non autoctone, sono ormai entrate nella memoria e nell’immaginario collettivo, come una allegra nota di colore ed esuberanza, e soprattutto svolgono una funzione che nel nuovo progetto non è assolta da alcun elemento, naturale o artificiale che sia: l’ombreggiamento. Elementi naturali, alberi che hanno più di vent’anni vengono completamente eliminati, giustificando questa imposizione con inutili paragoni con strade importanti di Roma, contesto territoriale completamente diverso, evidentemente più noto all’architetto, come via Condotti, che è priva di alberi per consentire il passeggio e non ha problemi di ombra perché sono i palazzi stessi a crearla. Ci sarebbe da dire molto su questo, ma forse è sufficiente osservare che le dimensioni delle sezioni stradali di via Condotti e di via Sparano non sono confrontabili. Queste valutazioni si sarebbero potute risolvere con una semplice passeggiata per via Sparano in un giorno di sole, ma probabilmente l’inesperienza dei luoghi ha giocato un ruolo fondamentale nelle scelte operate, insieme alle prescrizioni della soprintendenza, naturalmente.
Del cambiamento, si sa, si ha inevitabilmente paura, ma in questo caso il cambiamento sarebbe anche auspicabile, a condizione di offrire un miglioramento, estetico, funzionale, aggregativo. Questo progetto non sembra offrire nulla di tutto ciò. Risulta evidente che chi ha progettato non ha condotto uno studio approfondito del territorio su cui operava e a cui, peraltro, non apparteneva: d’altronde il concorso richiedeva un’idea, non di certo obbligava ad un’analisi preliminare. L’idea purtroppo è così risultata avulsa dal contesto. Tuttavia è importante osservare che un concorso di idee serve per esprimere delle visioni, per suggerire delle suggestioni e di fatto rappresenta un punto di partenza su cui un buon progettista dovrebbe lavorare, per calare l’idea nel contesto di riferimento nel miglior modo possibile. Il problema primario di questo progetto è che sembra aver saltato a piè pari tutto il percorso che va dall’idea embrionale al progetto esecutivo, o quantomeno il metodo adoperato ha condizionato l’esito progettuale finale. Oggi l’architetto ha un ruolo sociale dal quale non è più possibile prescindere ed una strada come via Sparano, simbolo di una comunità che qui si raccoglie ed identifica, merita l’apporto alla progettazione di tutta la cittadinanza. La partecipazione, di cui si legge su libri e giornali, non sta nella mera condivisione di un progetto online o nella consultazione solo di quelli che appaiono essere gli “aventi causa” perché gestori di un esercizio commerciale. L’utente finale di un progetto urbano è ogni cittadino che utilizza quello spazio e come tale ha diritto ad esprimere i propri bisogni sociali, le proprie istanze funzionali e le proprie considerazioni estetiche, al fine di contribuire attivamente allo sviluppo del progetto. Starà poi nella bravura dell’architetto dare a queste istanze una forma coerente, inserendola con un criterio nel contesto territoriale che la accoglierà, impegnandosi al meglio per interpretare i bisogni espressi ed inespressi di quanti vivono lo spazio urbano. Il compito dell’ architetto è quello di avere quella particolare sensibilità necessaria per risaltare la bellezza e le potenzialità dei luoghi, la cui identità non si può inventare: essa è strettamente connessa all’identità culturale delle persone che abitano quei luoghi da sempre. È per questo che via Sparano, luogo amato da tutti i baresi, merita di più di un progetto privo di carattere, piatto, privo di verde, ormai superato, imposto dall’alto e portato avanti ad ogni costo per non perdere un finanziamento. Via Sparano merita l’opportunità dell’impegno attivo di tutti coloro che amano Bari e un progetto che ne esalti la storia e le potenzialità.